La storia dell’azienda olearia Intini
Pietro è la quarta generazione Intini. Durante le settimane del raccolto rimane nel frantoio fino a tarda notte. All’inizio del secolo scorso il suo bisnonno Franco lavorava per il grande proprietario terriero della regione, un cosiddetto Don. All’età di sei anni, suo nonno Pietro Senior fu mandato a lavorare nel frantoio per aiutare a sfamare la famiglia. La gente contadina di quel tempo viveva in una povertà indescrivibile. Suo nonno ha dovuto riempire di polpa di olive con le mani nude i fiscoli delle presse. Alla fine della stagione del raccolto le sue mani erano coperte di ferite sanguinanti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprio lui ha utilizzato i suoi risparmi per acquistare un piccolo frantoio situato nella cantina di un trullo nel centro di Alberobello, e ha iniziato a lavorare le proprie olive e quelle di molti vicini.
Comincia così la storia della famiglia Intini, racchiusa dalla giornalista tedesca Michaela Bogner in un libro di grande successo: “SuperOlio. A new top category of Italian olive oil”, edito da Delius Klasing & Co. nel 2019.
Olio Intini, dal frantoio fra i trulli di Alberobello alla moderna azienda
I primi ricordi di Pietro Intini riguardano proprio il frantoio nei giorni di Natale, durante i primi anni ’80, quando la produzione di olio extravergine era concentrata durante il mese di dicembre.
Una famiglia, due generazioni, intente a lavorare nel frantoio scavato nella pietra nel centro storico di Alberobello, i salti tra i sacchi colmi di olive e le corse tra i coni dei trulli immersi nella nebbia invernale. Era quella via Monte Sabotino, oggi una delle strade più conosciute del centro storico Patrimonio Unesco della famosa cittadina pugliese.
La famiglia Intini si occupava di olio da sempre, ma era stato proprio grazie all’intraprendenza del nonno Pietro, oggi 96enne, che da operaio era divenuto titolare dell’azienda negli anni ’50, che era nata la linea produttiva Olio Intini.
Negli ultimi anni ’70 Franco Intini, figlio di Pietro, aveva fortemente voluto abbandonare l’antica produzione con macine e presse per investire in un moderno impianto a ciclo continuo, una scelta assolutamente innovativa per l’epoca e compresa da pochi. Erano gli anni delle fiere enogastronomiche nel Nord Italia, i cui modelli aziendali e professionali proiettati verso un’organizzazione nuova e più funzionale, proiettata verso la cura del cliente e l’efficienza di ogni comparto, furono di forte stimolo.
Dopo più di un decennio e con l’aumento della popolarità di Alberobello come meta turistica, esigenze logistiche e produttive portarono nel ’94 al trasferimento del frantoio dal centro storico alla prima periferia del paese, inaugurando un nuovo capitolo della storia Intini.
La ricerca dell’olio extravergine perfetto
È Pietro che, nei primi anni del 2000 e dopo una serie di esperienze di studio in Italia e all’estero, decide di tornare in Puglia e di prendere in mano le redini dell’attività. Rivoluzionandola completamente e non badando a spese in termini di tecnologia. Citando Michaela Bogner:
All’età di 23 anni, Pietro Intini premette il pulsante di reset e trasformò gradualmente il tradizionale frantoio di famiglia nel suo laboratorio di ricerca utilizzando la più recente tecnologia olearia.
Alla base di tutto, la formazione. Pietro è presto diventato Assaggiatore Professionista di olio, Capo Panel, Tecnico di Frantoio, Sommelier del Vino ed esperto di tecniche di potatura e gestione del suolo. Per curare ogni aspetto dell’olio extravergine, dall’uliveto alla produzione.
“Quando lo studente di materie umanistiche Pietro Intini rileva il frantoio di famiglia, lo fa in gran parte per senso del dovere. Ma scopre il nuovo mondo dell’olio extravergine d’oliva premium. Da allora si è impegnato nella ricerca del perfetto olio dalle varietà autoctone di oliva (…) Pietro Intini è un fanatico della qualità, ossessionato nel senso migliore. Ogni piccolo dettaglio è importante per lui per raggiungere l’olio extravergine perfetto. E come un atleta estremo spiega: «Per me è tutto o niente»”.
Foto: Stefan Bogner